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Da decenni si rileva la carenza di discorsi strutturati e non occasionali intorno alla musica per film; da decenni ci si limita a tale considerazione, apparentemente contraddetta (ma in realtà riaffermata) dai soliti eventi celebrativi di questo o quel musicista. Creuza de Mà, il festival di Carloforte dedicato alla musica applicata al cinema, ha rappresentato un’eccezione alla regola, anzi un’eccezione così sistematica e longeva (finora sei edizioni consecutive) da diventare regola. E’ come se dalle chiacchiere si fosse improvvisamente passati ai fatti, scatto della volontà assai poco diffuso in questo paese. Fin dal principio, sotto la guida attenta, meticolosa ma anche paziente di Gianfranco Cabiddu, si è costituito un gruppo di lavoro che ha pensato al festival come a una grande occasione per fare finalmente quello che solo in parte si era riusciti a fare nell’attività critica e nella didattica universitaria: costituire una sorta di laboratorio aperto, in cui far confluire l’attività musicale e quella critico-teorica, in tutte le loro sfaccettature. Il live, allora, da momento spettacolare diventa momento di riflessione; e la conversazione, a sua volta, può diventare spettacolo. Pertanto ogni musicista ha lasciato un duplice contributo, fatto che ha reso questa esperienza carlofortina ricchissima sotto ogni punto di vista. Sono state più entusiasmanti le esibizioni dal vivo di musicisti del calibro di Wim Mertens, Paolo Fresu, Mauro Pagani, Peppe Servillo, Nicola Piovani, Antonello Salis, Rita Marcotulli (l’elenco potrebbe continuare) o le loro parole sul mestiere della musica, le loro esperienze, le loro storie? Difficile, o inutile, decidere.

Stradine che portano al mare, la grazia del periodo e di un pubblico davvero motivato che, silenziosamente, si incastona nelle rocce zoomorfe di un teatro naturale. Un momento di “cinema naturale”: un cartoncino col foro al centro distribuito per inquadrare visioni di natura sublime, in un luogo di esclusiva proprietà dei falchi pellegrini. Più si scendeva verso il mare più ci si avvicinava a Bach, quindi all’assoluto, lì, col tramonto
Raffaella Venturi